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darth vader, la motocicletta e l’infradito

l'abbigliamento del motociclista

Sicurezza, sicurezza, sicurezza! Parola d’ordine dei nostri tempi, mantra politico, filastrocca contemporanea, slogan iconografico. La sicurezza per garantirci la leggerezza, la sicurezza per garantirci l’incolumità, la sicurezza per coltivare la dolce ed avvolgente coperta dell’ignoranza.

E’ in attesa di passare al senato il nuovo decreto di modifica al codice della strada il quale toccherà solo di striscio gli interessi degli automobilisti, concentrandosi quasi esclusivamente sull’imporre ai centauri tutta una serie di obblighi per la loro sicurezza. Si parla di protezioni: dalla giacca ai guanti, dai pantaloni al paraschiena al casco; ad ora, non viene menzionato nessun obbligo riguardo alle calzature. Gli imperativi saranno scaglionati a seconda della potenza del motore della motocicletta. Si parte dal semplice obbligo di un casco integrale per veicoli sotto gli 11kw, all’obbligo di casco integrale, tuta, giacca e guanti tecnici nonchè paraschiena integrale per i veicoli con potenza superiore ai 52kw.

Le strade tra un po’ saranno invase da alieni robotici e sudaticci, centauri bionici che per coprire la distanza casa/lavoro, dovranno calarsi nei loro esoscheletri di plastica e kevlar. La legge vuol farci diventare quasi come darth vader (i più fighi) o come i robottoni dei cartoni animati giapponesi (i più sfigati, categoria in cui mi ritrovo). Dico “quasi come” perchè, secondo questa legge, potremo calzare gli infradito. E questo la dice lunga sulla lungimiranza e sulle conoscenze dell’argomento del nostro legislatore.

Sotto le mie ruote da motociclista sono scivolati migliaia di chilometri e molti ne devono ancora scorrere. Fortunatamente di incidenti ne ho avuti pochi e le cause sono sempre state le stesse: automobilisti coglioni e condizioni della strada orripilanti.

Con gli anni il motociclista raggiunge quello che potremmo definire un “rapporto simbiotico” con il suo mezzo ma subisce anche un transfert mentale: quello nella testa dell’automobilista coglione; spesso è questo transfert a salvare la vita assieme a quel pizzico di sesto senso da animale della strada.

Non conto più le portiere aperte su cui ho rischiato di stamparmi, le svolte senza freccia che mi offrivano l’opportunità di tratteggiare il mio profilo su una fiancata, le apparizioni di cofani sconfinati ben oltre la striscia dello stop su cui ho rischiato di prendere il volo.

Quando vai sulla moto impari a mettere ogni automobilista nella sua giusta categoria d’appartenenza; c’è il vecchio con il cappello, rincoglionito e pericolosissimo; La mammina sul suv: a lei non frega un cazzo di quello che ha davanti l’enorme avantreno, l’importante è che non tocchi i suoi figli; Il bullo sull’alfa: pericoloso solo se sbronzo; Il figlio di papà sulla decapottabile: da tenere a distanza, potrebbe non avere idea dell’esistenza del freno. E poi ancora: la sbarba che scrive sms tenendo il cellulare talmente vicino al naso che sembra guardare il parabrezza attraverso la fotocamera dell’aggeggio, l’uomo d’affari che ravana nel portaoggetti parlando al telefonino e tentando un’inversione ad U. Le suore ed i pretazzi con i bambini!

Ma i pericoli non si limitano agli utenti della strada: il pericolo è insito nella strada stessa, nelle condizioni in cui versa e negli ostacoli che presenta in caso di caduta. Caduta che il centauro sa di dover mettere sempre in conto: è il prezzo da pagare, se va male, nell’avere sotto il culo un tot di cavalli e davanti una sensazione di libertà che l’automobilista (ed il legislatore) non sfiorerà mai.

Educazione alla strada ed infrastrutture moderne e sicure, da qui si dovrebbe partire. Ed è sul secondo punto che vorrei soffermarmi: le strade italiane, se si eccettua qualche tratto autostradale isolato del nord, fanno schifo. Infrastrutture progettate e costruite negli anni ’50 (le più moderne) e che nei decenni hanno conosciuto solo qualche sporadica copertura con asfalto fresco di scarsa qualità.

Ma quello che più mi fa incazzare (e che più mi spaventa) sono i guard rail. Molti automobilisti probabilmente non lo hanno mai notato ma questi “salvavita”  rischiano di diventare vere e proprie ghigliottine per il motociclista. Anche una caduta a 40 all’ora, vestiti come jeeg robot d’acciaio, non proteggerebbe dal colpo inferto da quelle lame assassine. E le testimonianze sono molte.

La questione qui e adesso, con questa legge, non è quella di dare protezione al centauro ma, ancora una volta, è quella di ingrassare i soliti culi industriali ed assicurativi con la solita mossa di facciata di un governo inetto rappresentante di un branco di pecoroni su quattro ruote che si chiamano italiani.

Le nuove norme, forse forse, salveranno lo 0,niente per cento dei motociclisti e, tre quarti di questi, rimarranno paralizzati a vita o tenuti a forza in stato vegetativo da uno stato ancora una volto cieco e marcio.

E qualche motociclista, non potendosi permettere certe chincaglierie, dovrà forzatamente accantonare per un po’ una delle grandi passioni della sua vita.

Link: Articolo del Dott. Marco Guidarini (Dr. Jekyll) medico Traumatologo presidente A.M.I.

Dubrovnik, Mostar, Sarajevo ed ancora Trst

Trieste – Italia

Ho dovuto rientrare anticipatamente. Sulla strada del ritorno ho giocato a nascondino con Giove Pluvio: l’antico dio delle saette e della pioggia mi ha sorpreso ad una quarantina di chilometri da Rijeka, costringendomi a rinunciare all’ultima tappa che mi ero prefissato e che era stata anche la prima di questo ciclo di posts: Bale.

Zeus (Giove) tramutatosi in pioggia dorata, ama Danae (Klimt, olio su tela)

Saluto Dubrovnik guardandola per l’ultima volta dalla collina che le sta alle spalle. Il sole cocente della tarda e limpida mattinata accende di un vivace candore le mura della città che emerge imponente dal mare blu cobalto con i suoi tetti rossi ed i suoi campanili. Indimenticabile.

Ripercorro a ritroso la strada che da Dubrovnik porta a Metkovic, cittadina al confine con la Bosnia nella Dalmazia del Sud. La dogana è di una tristezza assoluta: due container, circondati da betoniere e macchinari per il rifacimento del manto stradale, ospitano i doganieri croati e bosniaci. Ed è proprio uno dei militari bosniaci che pensa bene di chiedermi, oltre al passaporto, i documenti della moto. Niente di strano: i documenti sono sotto il sellino; il problema è che devo disfare gran parte del bagaglio per raggiungerli. Ci metto un quarto d’ora, vestito (da bravo motociclista) come un astronauta, sotto un sole bastardo e con un macchinario per la stesura del bitume che sbuffa aria bollente e puzzolente accanto a me, prima di essere di nuovo pronto per riprendere il cammino.

Inizia l’avventura bosniaca. Percorro pochi chilometri e già mi sono chiare un paio di cose. La prima è che qui l’islam è una realtà radicata. Ogni piccolo centro abitato ha la sua moschea ed a volte vedi minareti e campanili sfidarsi nell’accarezzare il cielo l’uno accanto all’altro. La seconda è che la ricostruzione post-bellica è ben lungi dal suo completamento: se è vero che quando si ricostruisce dopo un conflitto,le prime opere ad essere affrontate sono quelle infrastrutturali, la Bosnia Herzegovina in questo è ancora piuttosto indietro. Spesso alle strade manca il primo strato di asfaltatura e, là dove è presente, è così segnato da farmi sentire le ruote della moto incanalarsi nelle spaccature. Questi segni hanno un aspetto così regolare da avermi fatto pensare che derivino dal passaggio dei pesanti cingolati che, verosimilmente, scorrazzavano per quelle strade durante la terribile guerra serbo-bosniaca. La segnaletica orizzontale, poi, è quasi completamente assente. Grazie a questo, ho assistito ai sorpassi più spettacolari (e pericolosi) della mia vita.

Il paesaggio che mi si offre alla vista è, qualche chilometro dopo il confine e per una cinquantina di chilometri, quantomeno desolante: attorno a me brulle colline riarse dal sole e piccoli paesi fantasma con case sparse a macchia di leopardo in ampie conche simili a catini. E’ così fino a Mostar.

Il tempo stringe e così decido di fare solo una passeggiata nel centro storico della cittadina martire del conflitto balcanico. Entro nella città evitando buche, cantieri, vecchi camion che mi sputano addosso il loro carburante diesel mal combusto e impegnando di prepotenza incroci con semafori rigorosamente spenti. E’ un martedì di settembre inoltrato ed il turismo sembra essersi preso una pausa. Case basse, con tetti di pietra levigata, costeggiano strade in acciotolato irregolare. Fa un caldo porco e gli addetti ai numerosi negozietti e locali mi guardano di sfuggita, sbuffando e cercando refrigerio sventolando un fazzoletto o un foglio di carta. Una ragazzina, in inglese, mi segnala un ristorantino dove potrei rifocillarmi. “I don’t need to eat” le rispondo mentendo e sorridendo.

Mi perdo per vicoli e viuzze fino a trovarmi ai piedi del famigerato ponte , lo Stari Most che, oltre a dare il nome alla città, ne è simbolo ed anima. Non mi perderò qui nel rivangarne la storia e le peripezie di cui questo incredibile manufatto è stato testimone e vittima. Ma voglio sottolineare come questo monumento sia, più di ogni altro in Europa, metafora di una necessaria unione dei popoli al di là di religioni, nazionalismi e credo politici.

Lo Stari Mos prima e subito dopo la guerra nei balcani

Lo Stari Most prima e subito dopo la guerra dei Balcani

E via di nuovo, su questa strada assolata ed irregolare che, subito dopo Mostar, cambia nei paesaggi. Da qui in poi costeggerà, fino quasi a Sarajevo, le acque del Neretva che, per lunghi tratti, hanno un incredibile colore verde smeraldo, originato forse dal riflesso delle boscose montagne che, intanto, sono andate a sostituirsi alle bruciacchiate colline di qualche chilometro prima..

Guidare per queste strade è piuttosto faticoso ed i quasi duecentocinquanta chilometri percorsi dal mattino (ed intanto ho superato quota mille da Trieste) mi pesano parecchio. Quando scendo dalla moto, dopo aver trovato non senza difficoltà uno degli hotel tra i più economici tra quelli segnalati nella mia guida, biascico qualche parola in inglese maccheronico alla reception, accetto la stanza che mi propongono, mi faccio una doccia e mi infilo tra le coltri…tra gli ultimi pensieri, il fatto che avrei pagato la stanza (ampia e pulitissima) 23 euro a notte…e che compreso nel prezzo avrei avuto la facoltà di usare la sauna ed una attrezzatissima palestra…

Dopo una dormita di undici ore suonate, sono pronto per Sarajevo. Il mio albergo è vicino all’aeroporto a 5 o 6 chilometri dal centro. Per arrivarvi devo percorrere quello che è conosciuto come il “viale dei cecchini”: la lunga strada attorniata dalle colline che spesso gli abitanti dovevano percorrere alla ricerca di cibo e acqua, sotto la continua minaccia delle armi nemiche. L’umanità fuori dall’albergo mi colpisce subito; c’è un mercatino fatto di piccoli prefabbricati e la stazione del tram: zingari e venditori ambulanti, ragazzine eccessivamente truccate ed altre con il velo, mendicanti e quelli che sembrano essere uomini d’affari (o mafiosi). Poco più in là un enorme piazza con decine di locali tutti uguali, con musica dance anni ottanta e ragazzini in jeans che chiacchierano e ridono e si baciano con ragazzine in minigonna.

Il centro storico è un gioiellino con case in pietra e legno, strade in pietra rossa, moschee con altissimi minareti e la cattedrale cattolica, imponente ed austera. Ci sono un sacco di negozi di artigianato, principalmente di pelle e gioielleria, ristorantini tipici in cui assaporerò piatti veramente notevoli. Ci sono poi i cevabzinica ed i buregdzinica, ovvero i chioschi di cevapcici e burek, ribattezzati spesso “fast food”.

Minareto e torre

Minareto e torre a Sarajevo

Alla sera assisterò, per la prima volta nella mia vita, ad una funzione islamica (in parte tenuta all’aperto per mancanza di posto all’interno). Gli uomini da una parte, le donne dall’altra. Quello che mi ha colpito ed affascinato delle donne bosniache di fede musulmana, è quello che qui in occidente è una delle “pietre dello scandalo” nella questione islamica: il velo. Il tipo di velo che in maggioranza queste donne portano, è quello adatto a coprire orecchie, nuca e capelli: l’hijab. Ma se da una parte è sicuramente usato come segno di rispetto e devozione al loro dio, dall’altro queste donne sono consapevoli che, nella vita di relazione, quest’obbligo può prendere la forma di “accessorio”: non credo di aver visto un velo uguale ad un altro per forma, colore o modo di indossarlo. E tutti erano perfettamente intonati agli abiti ed al leggero trucco che tutte le donne portavano; caste ma affascinanti. Non voglio qui aprire un dibattito sul velo, ma solo portare la mia testimonianza su quello che ho visto in quel paese in un determinato periodo storico: una semplice consuetudine.

Mi sono trattenuto a Sarajevo fino a tardi ed ho trovato quello che, secondo la mia guida, doveva essere uno dei più frequentati locali notturni…infatti vi trovo solo un rubicondo ed anziano oste che mi dice che il mercoledì è un giorno un po’ sfigato, ma che l’indomani ci sarebbe stato un concerto. Parliamo un po’ e, quando gli chiedo della guerra, gli leggo negli occhi e nella voce all’improvviso divenuta più greve, la paura vissuta in quei giorni. Alla fine mi dà alcuni consigli per l’indomani (giorno che dedicherò ai musei) e ci salutiamo.

Il giorno seguente visito solo il museo nazionale: trovo chiusi quello del tunnel e quello storico. Il museo sorge in un palazzo neoromanico perfettamente ristrutturato e che stona decisamente con i palazzoni circostanti di fattura sovietica, crivellati di colpi. Alcune parti del museo sono chiuse al pubblico ed è molto interessante, anche se limitata, la parte dedicata all’etnografia ed alla storia della regione dell’800.

Dopo un pomeriggio di riposo, scendo in città per godermi il concerto di musica bosniaca al locale che avevo visitato il giorno prima, poi qualche ballo al ritmo della dance anni ’80 (che qui sembra andare molto di moda), con qualche ragazzina che mi chiede, incuriosita, come si facciano i dreadlocks. Ed è già tempo di preparare i borsoni sul mio Transalp per il viaggio di ritorno. L’ultima immagine che ho di Sarajevo è quella di un giovane zingaro che guarda affascinato la mia moto mentre la preparo. In questi giorni nella città balcanica, quando mi perdevo in stretti vicoli o strade a fondo cieco, o quando chiedevo informazioni a giovani o adolescenti, tutti si offrivano di accompagnarmi di buon grado, fino alla mia meta. E mi chiedevano del mezzo: di che marca fosse, che potenza avesse. Sostenevano di non aver mai visto una moto così. Ed alla fine mi salutavano ringraziandomi per il passaggio…

Calcolo di arrivare, partendo alle 10.30, nei dintorni di Zara, o magari più a Nord, verso le 18. Ma non ho fatto i conti con le strade della Bosnia: Per quattro volte il traffico si blocca. La prima per una frana, la seconda per uno sciopero, la terza per un ingorgo, la quarta per…un film!

Il blocco causato dallo sciopero avrei potuto aggirarlo prima (come poi farò per ritrovarmi imbottigliato di nuovo) ma, giunto con agilità alla testa dell’ingorgo, decido di capire il perchè dell’agitazione. Parlo con qualcuno dei poco più di cento dimostranti, e mi dicono che sono sei mesi che i padroni non li pagano. Ci sono giovani ed anziani, uomini e donne. Quello che li accomuna sono la pelle bruciata dal sole ed il volto scavato dalla fatica e dagli stenti. Ma si legge la dignità, nei loro occhi. La dignità e la determinazione. Spero siano state sufficienti, alla fine, per ottenere quel minimo diritto che si chiama salario.

Dopo un’ora a solidarizzare con i manifestanti, cambio strada pensando di allungarla, stradario alla mano, solo di una quindicina di chilometri. Ma i chilometri diventano 50 poichè il ponte segnalato, in realtà, non esiste. Di questi 50 chilometri almeno 20 sono rappresentati da strade sterrate a tratti piuttosto impegnative. In uno di questi tratti si forma un ingorgo che mi porta via un’altra mezz’ora di sole. Per rientrare infine sulla strada principale, devo attraversare un ponte sulla Neretva lungo un centinaio di metri, ad un unica corsia a doppio senso di marcia, e con la carreggiata fatta in lastroni di metallo traballanti. Un’esperienza unica.

Dopo un ennesima interruzione causata da una troupe cinematografica, mi lancio a manetta verso la costa croata. Nel pomeriggio riesco a fare un bagno in una spiaggetta vicino a Makarska che già avevo sperimentato e poi a continuare verso Nord. Mi fermerò solo alle 21, una cinquantina di chilometri a nord di split, dove pianterò la tenda senza tirarla. Ma a mezzanotte esatta mi sveglio per il tichettio della pioggia; ed è così che mi ritrovo a piantar picchetti sotto l’acquazzone canticchiando “tanti auguri a me”… 😛

E poi altri chilometri, la pioggia, il vento e la sgradevole visione di un Guzzi California capottato e dei poliziotti che guardano in fondo alla scarpata adiacente.

E poi…più nulla…Trieste. :°

Nota1: Le immagini di questa serie di posts (tranne quello relativo a Vienna) sono tratte dal web. Essendo io un inguaribile retrogrado, avevo con me solo la mia fedele e rigorosamente analogica contax. Appena possibile svilupperò le foto, le scannerizzerò e creerò un album in questo blog.

Nota2: Nonostante le nostre informazioni siano false, non le garantiamo.

Dubrovnik

Sarajevo – Bosnia Herzegovina

Dopo aver lasciato sotto le ruote della mia moto piu’ di 1000 chilometri di strada, eccomi piazzato in un piccolo internet caffe’ della capitale bosniaca per un breve riassunto di cio’ che mi sono lasciato alle spalle in questi giorni di viaggio.

Ero rimasto a markaska…da questa amena cittadina della costa croata sono partito senza troppi rimpianti. Meta: dubrovnik. La strada per arrivarci e’ a dir poco spettacolare. Simile alla strada qvarnerina, si differenzia principalmente per una vegetazione molto piu’ lussureggiante. Inaspettatamente, poi, la strada si tuffa all’interno, e mi trovo proiettato in mezzo a colline lussureggianti, a costeggiare dei piccoli laghi azzurri e placidi e ad attraversare la Neretva, il fiume che al sud taglia in due la Bosnia. Ed in bosnia, per qualche chilometro, ci capito pure: dubrovnik e’ divisa dal resto della Croazia da una sottile striscia di territorio bosniaco che si affaccia sul mare.

Ma eccola qui dubrovnik: rimane il rito della ricerca di un campeggio. Il tempo di una doccia e sono di nuovo sulla mia muletta, finalmente alleggerita dell’ingombrante carico da campeggiatore, per raggiungere la citta’ vecchia. Entro da una porta secondaria da cui, pochi metri dopo, mi ritrovo davanti ad una stretta scalinata che scende verso il viale principale, una cinquantina di metri piu’ in basso.

La luce del tramonto inonda il viale gremito di turisti rumorosi ed eccessivamente dediti all’uso del deodorante. Ma neanche questa massa informe riesce a togliere la magia della luce del tramonto che si riflette sul candido acciotolato in marmo e sui palazzi in marmo e pietra carsica che se ne stanno li’, carichi di storia e testimoni di storie in una citta’ che ha nel mare il suo cuore pulsante. Basta uscire dalle zone piu’ battute dal turismo per sentire l’odore del mare, per percepirne la presenza anche se non lo vedi.

Giro cosi per la citta’ fino a tardi, incuriosito, leggendo la storia della fontana di onofrio, degli assedi turchi, delle piccole chiese e dei monasteri, delle mura imponenti e candide, che il giorno dopo sarei andato a visitare. Il tempo passa e dopo una cena frugale, non avendo incontrato nessuno decido di rientrare verso il mio accampamento quando, sulla gradinata che mi porterebbe all’esterno delle mura, vedo una ragazza con in braccio un gattino, mi avvicino (incuriosito dal gattino, non dalla ragazza eh! 😛 ) ed iniziamo a parlare (con la ragazza, non con il gattino! 😛 ). Americana dell’oregon, ingegnere elettronico, per un attimo ci ritroviamo a fissarci negli occhi…ma arrivano i suoi amici che la portano via…bhe e’ stato per lo meno un occasione per sfoderare il mio oramai arruginito inglese…

Il giorno seguente mi concedo un po’ di mare nell’amena spiaggia del campeggio, poi di nuovo in citta’: un ora per il giro delle mura, ad ammirare il mare che la circonda su tre lati ed i tetti rossi ed i campanili che svettano al suo interno. Quindi di nuovo a cazzeggio tra i stretti vicoli dell’abitato. In serata, ai piedi della fontana di onofrio, noto una bellissima ragazza che fuma voluttuoisamente una sigaretta. E’ lei a chiedermi di parlare: e’ una tipa problematica, con quei problemi che hanno a che fare con il mio lavoro. Chiacchieriamo un bel po’ e ci diamo appuntamento per il giorno dopo, in serata, ai piedi della stessa fontana.

Il mio ultimo giorno a dubrovnik inizia pigramente: caffe’, amaca, musica nelle orecchie, letture fantascientifiche, pranzo a scrocco assieme ad una coppia di pensionati ultrasettantenni italiani campermuniti miei vicini. Poi via, alla ricerca di una spiaggia degna…secondo la mia fedele guida a sud di dubrovnik ne avrei trovata una il cui nome non ricordo…infatti, seguendo le indicazioni fornitemi ne trovo un altra che poi scopriro’ chiamarsi “Sveti Jakov”. Sempre a sud della citta’, vi si arriva scendendo un centinaio di gradini lungo la parete di una scarpata. Sul fondo di questa, una spiaggetta di sabbia e sassi, il mare cristallino che, a pochi metri dalla riva, diventa immediatamente profondo e blu. Davanti a me l’isola lussureggiante che si profila gia’ nell’orizzonte di dubrovnik e, poco piu’ in la’, le mura bianche e possenti della citta’. E cosi’ mi crogiolo al sole per un paio d’ore, con una pausa nel vicino ristorantino per una birra ghiacciata e con un micio in braccio che decise che ero il posto piu’ comodo dove schiacciare un pisolino.

Alla sera poi, di nuovo a dubrovnik per una cena ed una passeggiata con l’amica croata. Uno scambio di indirizzi ed un frettoloso arrivederci;in campeggio, con la mente gia’ proiettata verso il prosieguo del mio viaggio, scrivo un po’ di filosofia e mi addormento come un sasso.

Ora i paesaggi, i profumi, i colori cambiano rapidamente di nuovo attorno a me. Sono gia’ sulla strada per Sarajevo.

Trst – Dubrovnik

Dubrovnik, Dalmazia meridionale.

Fossi superstizioso credo non sarei nemmeno partito. Dopo aver caricato come un mulo la mia fedelissima, per sbaglio, ho colpito il cavalletto con un piede e lei ha cominciato ad inclinarsi verso di me. Con la forza della disperazione, puntando i piedi e facendo forza sul corpo della moto con le mani e con il petto sullo specchietto retrovisore, sono riuscito a salvarla da una rovinosa caduta. Purtroppo, per l´eccessiva pressione, lo specchietto sinistro si e´ crepato: ora, quando vi guardo, vedo la strada sfaccettata, come in un mosaico. Per gli amanti del genere horror: ogni tanto, da quello specchietto, mi sembra di vedere una grossa macchina bianca dietro di me. Ma nell´altro specchio questa non appare e non e´ possibile vederla nemmeno se volto la testa all´indietro. Stephen King impazzirebbe 😛

La mia muletta

Non ricordo chi me lo abbia fatto notare ma la croazia ha la forma di un drago dove la testa e´ rappresentata dall´istria, le ali dalle regioni che portano all´interno ad oriente di Zagabria, il corpo e la coda sono formate dalla dalmazia e la punta di quest´ultima e´ Dubrovnik. Io sto cavalcando questo drago lungo la pancia, percorrendo la (per me oramai mitica) statale n. 8.

La strada che porta da Trieste a Opatija e´ scivolata sotto le ruote del mio TA come un tappeto: un attimo prima ero in mezzo al verde brillante delle colline alla base della penisola istriana, un attimo dopo l´odore del mare permeava tutto attorno a me. In questo tratto mi sono pensato come apparissi agli occhi di un distratto osservatore. Giubbino sgualcito da motociclista anni ottanta, jeans e scarpe da ginnastica casco rigorosamente con visiera alzata (a beccarmi in faccia insetti polvere e…profumi). E che dire della moto: sulla piastra posteriore tenda, coperta e tappetino in poliuretano. Sacche laterali stracariche (tutto per il campeggio da una parte, abiti dall´altra), e sul serbatoio una borsa magnetica. Sara´ che discendo da una famiglia di profughi…

La prima tappa e’ stata Rab. La strada che da Fiume raggiunge Jablanac (e che poi continua, simile, fino quasi a Zadar) e’ qualche cosa di indimenticabile e, ogni volta che la percorro, non posso fare a meno di gustarla in ogni suo piu’ piccolo tratto. Ogni curva offre uno scorcio nuovo; ogni volta l’azzurro del mare, del cielo ed il candore punteggiato di verde delle montagne calcaree che si tuffano nelle acque, lasciano senza fiato…devo dire, poi, che a lasciare senza fiato, sono pure le protezioni escogitate per questo lungo tratto di strada: la’ dove c’e’ pericolo (scarpate, cavalcavia,ecc.), non vi e’ nessuna protezione; la’ dove invece il pericolo e’ assente, guard rail e muretti di contenimento si sprecano…sara’ una tecnica croata per sfoltire l’invadenza del turismo internazionale…

Rab

A Rab avevo appuntamento con una collega ed un suo amico…nonche’ con la cagnetta di lei che mi ha molto colpito per  la barba, le bretelle, e la capacita’ di dormire in ogni luogo fosse possibile. Per tre giorni abbiamo cercato spiagge spettacolari e solitarie come da tradizione croata. Ma in questo siamo rimasti un po’ delusi. Unica bella sorpresa: una spiaggia non bellissima ma nemmeno malvagia…di sabbia. Credo di non aver mai visto della sabbia nel quarnaro. Alle sere, poi, si cercava un po’ di divertimento…ma il nulla regnava sovrano ed io incitavo i compagni di questo tratto di strada ad ingurgitare pelinkovac e/o qualsiasi bevanda spiritosa un bicchiere via l’altro…di solito non sono cosi’ ragazzi ma che volete…questo viaggio “ciama” 😛

Il paese e’ carino, nulla di piu’, e votato ad essere un “paradiso artificiale” per famiglie di turisti. Insomma: l’isola kvarnerina piu’ bella rimane Cherso.

Makarska

Salutati la splendida collega, l’amico con una grande cultura musicale (ed un insana passione per drinks orribili) e la cagnetta dormigliona, scendo verso dubrovnik per i restanti 10 giorni di viaggio in solitaria. Non avendo una grossa voglia di percorrere una distanza troppo grande, decido di fermarmi a Makarska, nella dalmazia centrale. La strada per arrivarvi perde molto di fascino da Zadar in poi. Inoltre quelli che sto percorrendo sono luoghi e strade che mi ricordano periodi felici della mia vita passata che, ora, hanno un sapore amaro come il veleno. Chissa’, forse un giorno ritorneranno ad essere dolci; forse deve solo passare del tempo.

Arrivo nei dintorni di Makarska nel tardo pomeriggio e mi calo nella cittadina che la guida che porto con me dice essere “ridente” poco piu’ tardi. Bhe, alla sera diventa un paradiso artificiale per giovani turisti appassionati di musica dozzinale e coktails. Riesco a beccarmi un concerto jazz che pero’ finisce troppo presto (nel locale ho fraternizzato con una comitiva di pensionati norvegesi che mi hanno offerto una quantita’ invereconda di birra). Solo verso le due trovo un baracchino dove mandano della musica pop croata e dove gruppuscoli di giovinastri avvinazzati cantano in coro abbracciati parole per me incomprensibili; io, in disparte, osservavo divertito.

Oggi sono partito da li’ per raggiungere dubrovnik, da cui scrivo. Lascio in sospeso il racconto del viaggio che  merita, per il valore paesaggistico, un capitolo a parte. Lascio pure in sospeso questioni ludico/filosofiche. Non e’ tempo di filosofie: c’e’ tanto da vedere…

Forsi son mi che no so usarlo…

Google maps…

Catena della moto nuova, sacche pronte con tutto il necessario per campeggiare, tenda e amaca che attendono di essere montate…a poche ore dalla partenza, terminati i preparativi, smanetto un po’ su google maps per studiare il percorso da seguire. Ecco, secondo i tipi di google, le strade che dovrei affrontare…

Mha!

Trieste-Dubrovnik per masochisti

Non sono riuscito in nessun modo a razionalizzare il percorso…Provate poi a richiedere informazioni sulla tratta Dubrovnik-Sarajevo; secondo googlemaps:

Indicazioni stradali per Sarajevo, Bosnia ed Erzegovina 1.488 km – circa 1 giorno 5 ore…

O.O

Che abbiano già condotto l’esperimento e si siano verificati dei paradossi spazio temporali?

…alla fine ho dovuto usare viamichelin… 😛

edit: QUI i diari.

Go meso el naso fora della porta

Dopo quasi un anno ininterrotto a lavorare, sono finalmente riuscito a salire in sella alla mia fedele transalp ed a macinare più di una cinquantina di chilometri di filato. Finora, in questo metereologicamente altalenante agosto, è capitato due volte: la prima per un breve viaggio da Trieste a Bale, incantata località balneare croata; la seconda mi ha portato a Vienna, per vedere una città che non avevo mai visitato e ritrovare un amica, nonchè ex collega, che ora si ritrova a lavorare nell’asburgica e monumentale capitale.

Pausa tecnica durante il viaggio per Vienna

Non sono nuovo a viaggi “a lungo raggio” sulle due ruote. In passato ho affrontato sulla mia vecchia vespa un entusiasmante periplo della grecia continentale e diverse tappe in croazia. Con la giapponese mi sono spinto fino in umbria ed all’isola d’elba.

La particolarità è che ora questi viaggi (ed ancora di più il prossimo ed imminente) li affronto (non capitava da tanto) in solitaria, come da un po’ faccio con quel viaggio che chiamiamo vita.

Non credo esista nulla di più bello e più formativo per una persona che viaggiare, muoversi per il piacere di farlo; se c’è, non lo ho ancora trovato. Ognuno, a suo modo e con chi preferisce, dovrebbe trovare il tempo (ed a volte il coraggio), di mettere in stand-by la vita reale e lasciarla lì…congelata; e di concedersi quindi il lusso di spostarsi e mettersi in gioco osservando se stesso, finalmente, da un altra angolazione.

Il viaggio verso Bale è stato particolare: per evitare le strade slovene a pagamento mi sono perso sulle montagne istriane e, dopo una decina di chilometri di sterrato, mi sono ritrovato a varcare un confine secondario incustodito per entrare in Croazia. A tutti i motociclisti in ascolto: cercate sulla cartina Golac (sulla strada che da Trieste porta a Rijeka), da lì prendete la strada bianca: ampia e piuttosto semplice, offre panorami non indifferenti. Entrati in Croazia ci si ritrova in una sinuosa e spettacolare strada di montagna.

Per fare 130 km, ci ho messo circa 5 ore: quasi tre ore di piogge ad intermittenza mi hanno rallentato. Arrivato a Bale, dove avevo appuntamento con degli amici, mi son concesso due giorni di tintarella integrale, balli sfrenati e fiumi di rakija e pelinkovac. Per il rientro ho seguito strade più tradizionali, evitando comunque i tratti a pagamento e rientrando in italia per il valico secondario di belpoggio.

Per arrivare a Vienna, invece, ho scelto di evitare l’autostrada per un semplice motivo: per la prima volta avrei “sfidato” con il mio fedele destriero, le Alpi. E posso solo provare a descrivere la sensazione di affrontare quasi 500 chilometri di saliscendi ininterrotto con l’aria fresca, leggera e carica di profumi delle montagne che mi accarezzava la faccia. Ad un certo punto (colto forse dal delirio da carenza di ossigeno), mi sono ritrovato a paragonare il viaggio in motocicletta sulle montagne, all’andar per mare a vela. In questo mio stato allucinatorio ho immaginato le montagne come enormi onde che scorrevano sotto le ruote del transalp come fanno i marosi sotto le chiglie delle barche. Di certo una cosa è innegabile: circondato dai massicci montani sul tuo guscio di noce a due ruote ti senti piccolo piccolo, proprio come deve sentirsi il marinaio immerso in quel deserto blu pieno di vita che chiamiamo mare.

Ma anche questa splendida esperienza ha la sua macchia: essendo in ritardo all’appuntamento con la mia amica che aveva il turno di notte, mi sono messo a correre…e da dietro un cespuglio ad un certo punto, è apparso un autovelox…la prossima volta dovrò prendere dei provvedimenti 😛 sono in fiduciosa attesa dell’asburgica mazzata…

Di Vienna ho visto poco: la notte del mio arrivo sono uscito da solo ed ho conosciuto una stramba compagnia di artistoidi autoctoni con cui ho sbevazzato fino alle 4 del mattino. Il giorno dopo sveglia con calma e, al ritorno dal lavoro dell’amica, siamo usciti con l’intento di fare un giro turistico della città. Ma abbiamo cominciato a chiacchierare (era da tanto che non ci vedevamo e ce n’era da raccontarsi) e ci siamo concessi, dopo un “pranzo” delle 16.00, un dolcetto “particolare” grazie al quale abbiamo girato la città chiacchierando e ridendo a più non posso; uniche soste, prima di collassare in casa, un paio di locali dove concederci un drink e….4 risate…L’ultimo giorno è stato di riposo prima della ri-partenza: una visita al parco giochi del prater, pranzo, ed un paio di film.

I 600km del rientro mi hanno suscitato le stesse emozioni che ho descritto sopra…solo con il passeggero. Siamo rientrati con più calma, se si eccettua la tratta tarvisio-trieste, dove ci siamo lanciati in autostrada. Siamo arrivati a Trieste a mezzanotte….stanchi ma felici.

E tra qualche giorno si riparte: scenderò la Croazia lungo la Dalmazia fino ad arrivare a Dubrovnik. Poi spero di riuscira a passare in Bosnia, per Mostar e Sarajevo. Sempre ricordando che:

Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone.
John Steinbeck


enea papà

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